l'analisi

La (difficile) arte di gestire la ricerca pubblica per creare valore: misure, azioni, best practice

La ricerca pubblica non può limitarsi alla generazione di nuove idee, ma deve anche gestire le connessioni con gli altri attori detentori di conoscenze e competenze, aumentando le occasioni di collaborazione e di scambio: l’obiettivo da raggiungere è che gli investimenti in ricerca servano per creare valore pubblico

Pubblicato il 19 Apr 2022

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

microscopio ricerca

La ricerca pubblica è come un diamante prezioso. Va gestita con cura per sprigionare tutto il suo potenziale e creare valore. Per la ricerca finalizzata, quella più vicina al mercato, ci sono diverse soluzioni che si possono adottare per valorizzare le conoscenze.

La Commissione europea, che da poco ha celebrato la settimana della valorizzazione dei risultati della ricerca, sta elaborando delle linee guida sulla materia, con l’obiettivo di fornire una nuova direzionalità per l’uso economico e sociale, il più ampio possibile, dei risultati e delle invenzioni della ricerca. Anche il nostro Governo è impegnato a dare corpo a una strategia da realizzarsi in tempi brevi. L’essenza stessa del PNRR prevede che la trasformazione economica del sistema Italia sia via via sempre più governata dal trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca. In altre parole, aumentando i ponti tra mondo accademico e mondo industriale, l’obiettivo da raggiungere è che gli investimenti in ricerca servano per creare valore pubblico.

Ricerca e innovazione, i soldi ci sono ma serve il salto di qualità: ecco tutti i tasselli

Il Ministero dell’Università e della Ricerca e il Ministero per lo Sviluppo Economico sono i protagonisti di questa nuova strategia. Di recente hanno pubblicato diversi bandi, mettendo in campo iniziative di grandi dimensioni, articolate, che nel loro insieme vedono protagonisti una rete di soggetti diversi chiamati a formare un sistema di condivisione di conoscenze basato su un processo di creazione condivisa. Di fatto una vera e propria co-creazione esplorativa in un contesto di scambio di conoscenze tra industria e ricerca pubblica. Sul tavolo ci sono le risorse del PNRR, ma sono diverse le misure che si potrebbero adottare senza spendere soldi. Riforme a costo zero, che potrebbero agevolare le connessioni tra ricerca e imprese.

Una ricerca più a portata di imprese: le misure del MUR

Così come molte altre azioni recenti sui temi della ricerca e dell’innovazione, anche il PNRR punta molto alla creazione di reti e all’attivazione di collaborazioni tra più università, enti, territori, etc. È una dinamica positiva, che vede il Ministero dell’Università e della Ricerca titolare di diverse iniziative: partenariati di ricerca, scambio di ricercatori, nuovi dottorati.

Con un investimento di 1,61 miliardi in tutto, di cui almeno il 40% nelle regioni del Mezzogiorno, il MUR ha emanato un avviso pubblico per raccogliere proposte di intervento e creare da 10 a 14 grandi partenariati di ricerca estesi alle università, ai centri di ricerca, alle aziende sul territorio nazionale. Le proposte progettuali per la costituzione dei partenariati estesi potranno essere presentate esclusivamente attraverso il portale Gea (gea.mur.gov.it) a partire dal 6 aprile, fino al 13 maggio 2022. L’avviso prevede che soggetti proponenti possano essere solo le università statali e gli enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR; al tempo stesso le proposte devono prevedere la creazione di partenariati estesi, con il coinvolgimento di imprese, organizzati con una struttura di gestione e sviluppo della rete di tipo Hub&Spoke[1]. Nell’ambito del partenariato sarà possibile finanziare dottorati di ricerca e attività di ricerca fondamentale e applicata, progetti di supporto alla nascita e allo sviluppo di start-up e spin off da ricerca, attività di formazione in sinergia tra università e imprese, con particolare riferimento alle Pmi, per ridurre il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dalle università.

In un altro decreto ministeriale – messo a punto nell’ambito di un tavolo tecnico tra MUR e MiSE – è stato regolato lo scambio temporaneo di ricercatori e professionisti tra università, enti di ricerca e imprese. La misura rappresenta un ulteriore tassello nell’attuazione della riforma sulla mobilità dei ricercatori prevista dal PNRR. L’obiettivo del provvedimento (in attesa di registrazione) è chiaro: raddoppiare il numero dei ricercatori per persone attive occupate dalle imprese, oggi fermo al 2,3% contro una media europea del 4,3%. Va ricordato che la possibilità di scambiarsi personale altamente qualificato era già prevista dalla legge n. 196 del 1997. Una possibilità che finora è stata poco sfruttata sia dalle istituzioni pubbliche, che non sapevano come coprire il buco di organico nella docenza, sia dai singoli studiosi, che non si vedevano riconosciuta ai fini della progressione di carriera l’attività svolta nell’impresa. Per superare queste criticità, il decreto prevede ora che il costo del ricercatore in distacco, e dell’eventuale sostituto reclutato nel frattempo, non vada a incidere sugli indicatori di costo del personale delle istituzioni di appartenenza. Peraltro, oltre a specificare che il “distaccato” mantiene il rapporto di lavoro con il distaccante e il relativo trattamento economico e contributivo, il decreto ministeriale dà all’impresa la possibilità di riconoscere al ricercatore un compenso aggiuntivo. Inoltre, viene disposto che l’attività e i risultati di ricerca ottenuti in azienda vadano a costituire titolo per le valutazioni comparative per la copertura di posti vacanti di professore universitario, ai fini delle procedure di abilitazione scientifica nazionale, nonché nell’ambito della valutazione della qualità della ricerca[2]. La mobilità è bidirezionale, perciò porte aperte in entrambi i sensi. A spostarsi possono essere anche i dipendenti privati, intenzionati a un posto da professore straordinario o a contratto. In tal caso però – il testo su questo è molto chiaro – non si possono bypassare i concorsi e non si matura alcun diritto di accesso al pubblico impiego.

Novità anche sul fronte dei dottorati. Sono state pubblicate le Linee Guida per la presentazione da parte degli atenei delle domande di accreditamento dei nuovi corsi di dottorato. Da valutare positivamente la volontà del ministero di innalzare e potenziare il livello di qualità dei percorsi dottorali, di favorire l’istituzione di nuovi corsi di dottorato di ricerca, di semplificare le procedure per coinvolgere nei percorsi soggetti esterni all’università, e di promuovere, grazie al partenariato pubblico-privato, l’istituzione di dottorati di interesse nazionale, nonché il riconoscimento dei dottorati industriali, che rappresentano uno strumento potente per la creazione di rapporti tra imprese e mondo della ricerca.

Trasferimento di tecnologie verso le imprese: le azioni del MiSE

Il buon esito dei processi valorizzazione dipende molto dalle imprese che devono assorbire la nuova conoscenza prodotta dalla ricerca. Per questo risulta importante aumentare la capacità di assorbimento (comprensione, spesa, integrazione) delle imprese, soprattutto delle Pmi.

È quanto si prefigge il decreto del MiSE che assegna i primi finanziamenti (10 milioni di euro su 200 milioni stanziati dal PNRR) per il partenariato di imprese e centri di ricerca promosso nell’ambito dell’iniziativa Key Digital Technologies Joint Undertaking (KDT JU), di cui sono membri fondatori la Commissione Ue, gli Stati membri o associati, tra cui l’Italia, e le associazioni industriali europee. La KDT JU supporta la ricerca e innovazione nella progettazione di componenti elettronici all’avanguardia, nonché la loro produzione e integrazione in sistemi intelligenti. I primi 10 milioni sono destinati al cofinanziamento dei progetti delle imprese italiane selezionati nei bandi pubblicati nel corso del 2021, per i quali dovranno essere presentate le proposte definitive entro il 27 aprile 2022.

Anche i nuovi Accordi per l’innovazione sono diventati operativi. E’ stato pubblicato il decreto che punta a sostenere le imprese che investono in ricerca e sviluppo industriale attraverso contributi e finanziamenti agevolati. Il decreto disciplina la procedura di presentazione delle domande per le imprese che svolgono attività industriali, agroindustriali, artigiane e che presentano progetti d’importo superiore a 5 milioni per realizzare nuovi prodotti e innovativi modelli produttivi. La procedura di presentazione delle domande prevede per le imprese una prima fase dedicata alla compilazione della documentazione, a partire dal 19 aprile, mentre l’apertura formale dello sportello per chiedere gli incentivi è prevista per l’11 maggio 2022.

Valutare e valorizzare la ricerca: un compito da professionisti

Il processo di valorizzazione della ricerca, collegando diverse aree e settori, può essere considerato come prioritario nella creazione di valore pubblico. La ricerca finalizzata, quella più vicina al mercato, trasforma i dati e i risultati in prodotti e soluzioni a vantaggio dell’intera società. In tal modo si ottimizzano le informazioni esistenti e si crea nuova conoscenza per il futuro. Questo processo, che va trattato come un particolare processo, può essere gestito e valutato. Conviene tuttavia cercare un equilibrio e muoversi con le dovute cautele.

I tentativi fatti nel passato di mutuare concetti e teorie dal management per applicarli alla pubblica amministrazione ha mostrato diverse criticità e le metriche della performance di “Brunettiana” memoria, nelle comunità dei ricercatori, fanno fatica ad attecchire. Modelli che mirano a far funzionare le istituzioni di ricerca come imprese che cercano di raggiungere obiettivi specifici in tempi assegnati possono fallire, perché non considerano le caratteristiche del settore. A cominciare dalla componente scientifica, spesso legata a visioni del proprio ruolo e alle peculiarità del lavoro svolto, del tutto diverse da quelle alla base dei processi di gestione nelle imprese private.

Ciò non toglie che le istituzioni (università ed enti di ricerca) sono chiamate a rendere conto e a contribuire alla creazione di valore pubblico, anche perché oggi c’è una sensibilità diversa rispetto a questi temi. L’utilizzo di tecniche e strumenti manageriali, quali i modelli di scienza aperta, di valutazione degli impatti o le matrici di analisi dei processi, possono essere un fattore rilevante per assistere le PA nella risposta ai cambiamenti che il contesto economico e sociale impongono. Diversi studiosi (Amenta e Stagnaro, 2021) sostengono che per valorizzare al massimo il potenziale della ricerca ‹‹gli assetti istituzionali più promettenti sono quelli che mirano a dare assoluta autonomia e maggior supporto ai soggetti direttamente coinvolti nell’attività di ricerca, assicurandogli un completo isolamento rispetto a compiti amministrativi e di gestione o di ricerca delle fonti di finanziamento››.

Il riferimento è a un modello con una struttura professionale manageriale che sappia gestire risorse umane di natura peculiare come i ricercatori, in grado di garantire loro servizi amministrativi e di supporto di primissimo ordine, in modo da lasciare ai ricercatori tutto il tempo da dedicare all’attività di ricerca. Insomma, occorrono professionisti per gestire la ricerca e saperla valorizzare.

La gestione dell’innovazione

Nel 2020 la spesa in ricerca e sviluppo nei paesi dell’UE è stata di 311 miliardi di euro. La conoscenza generata in Europa dovrebbe avvantaggiare i cittadini europei e non solo. ‹‹Mentre è compito degli scienziati generare tale conoscenza, altri possono aiutare a portarla nella società. È una questione di come usiamo questa conoscenza. Questa è valorizzazione››. È quanto sostenuto dal prof. Haunold dell’Università del Lussemburgo, il quale ha moderato una sessione di studio, nel corso della Settimana della valorizzazione della conoscenza dell’UE (EU Knowledge Valorisation Week 2022), che è una delle azioni prioritarie dell’agenda politica dello Spazio europeo della ricerca (2022-2024).

Trasformare le scoperte scientifiche in un prodotto o servizio è spesso un punto critico. Ci si trova in quella fase successiva alla ricerca, ma in un momento prima che quel qualcosa diventi industrializzabile o sia stato dimostrato a un livello in cui l’azienda sia disposta a mettersi in gioco. Interagire con un’azienda, sostenere l’onere di negoziare contale azienda, come questioni legali o di proprietà intellettuale, è piuttosto complicato. Anche creare una nuova azienda per sfruttare un’idea non è affatto facile e non è sempre fattibile. Ci sono i processi, le regole, le leggi, la burocrazia. Gli scienziati di solito non hanno le capacità o il tempo da dedicare a questi passaggi delicati. D’altronde quello che ci si aspetta dagli scienziati è di fare al meglio ciò che sanno fare, la ricerca, senza pretese di abilità che non hanno. Per questo hanno bisogno di assistenza e da qui che nasce l’esigenza di avere delle figure professionali competenti.

Il trasferimento e la convalida delle conoscenze richiedono molte abilità, di team multidisciplinari che supportino i creatori di conoscenza e garantiscano l’impatto, perché dobbiamo ricordare che non si tratta solo di tecnologia, ma anche dell’implementazione della tecnologia.

Rafforzare il trasferimento tecnologico

Della necessità di intensificare i collegamenti tra ricerca pubblica e tessuto delle imprese parla il Rapporto sui risultati dei bandi promossi dal MISE‐UIBM, in collaborazione con Netval, per il rafforzamento degli Uffici di Trasferimento Tecnologico (UTT) di Università ed Enti Pubblici di Ricerca. Sebbene i risultati delle azioni promosse mostrino segnali incoraggianti e nonostante i policy maker, sia a livello nazionale che internazionale, stiano investendo molto sulle attività di trasferimento tecnologico, le performance registrate sono ancora molto eterogenee, tant’è che ‹‹sono talvolta eccessivamente frammentate le azioni messe in campo, oppure, viceversa, ingenti ma non frutto di una progettazione diffusa e condivisa››.

Gli ultimi dati disponibili[3] ci dicono che per gli enti pubblici di ricerca e le università, pur essendo stato sperimentato un aumento considerevole degli addetti al trasferimento di tecnologie, esistono ancora dei margini di miglioramento in termini di attività di valorizzazione della ricerca. Tali istituzioni, infatti, dispongono di un patrimonio conoscitivo e tecnologico che può essere ulteriormente valorizzato (sebbene il trend relativo al deposito delle domande di brevetto ed al numero dei brevetti presenti nel portafoglio brevettuale sia positivo). Più intensi processi di valorizzazione, potrebbero avvenire in presenza di uffici rafforzati, di maggiori incentivi per gli enti e i ricercatori, di una semplificazione della burocrazia e delle norme che regolano la valorizzazione di conoscenze, di un rafforzamento della capacità di assorbimento delle imprese, ecc.

Ulteriori misure per sfruttare appieno i risultati della ricerca

Oltre al rafforzamento della ricerca in senso stretto, legato per esempio a più posizioni di ricercatori, più borse di dottorato di ricerca, più finanziamento di venture capital, ecc., i processi di valorizzazione della conoscenza potrebbero beneficiare di interventi a costo zero. Due esperti della materia, i professori Giuseppe Conti e Adrea Piccaluga[4], sono arrivati a fornire alcuni esempi pratici:

  • il cambiamento della normativa sulla proprietà intellettuale generata dall’università[5] è auspicato da più parti, sia nelle università che presso le imprese, ma non ha ancora avuto luogo.
  • sarebbe auspicabile un cambiamento nei sistemi di valutazione e di incentivazione dei singoli ricercatori e docenti universitari, con l’obiettivo di portarli a impegnarsi maggiormente in attività di valorizzazione e trasferimento dei risultati della ricerca, dato che al momento il loro impegno in questa direzione è pressoché ininfluente ai fini dei percorsi di carriera.
  • i processi di trasformazione della conoscenza nelle istituzioni pubbliche sono giustamente improntati alla massima trasparenza, ma sono anche caratterizzati da insostenibili complessità e incertezze di tipo amministrativo e burocratico. Chi in queste organizzazioni si occupa di promuovere i risultati della ricerca rischia di dover affrontare difficoltà burocratiche maggiori rispetto alle difficoltà della valorizzazione in sé. La soluzione che talora emerge è quella della esternalizzazione di tali processi, affidate il più delle volte a organizzazioni scollegate dai vertici decisionali pubblici. Un processo pericoloso, che crea depauperamento di valore. Per questo è necessario snellire la burocrazia, invitando le istituzioni anche a dare vita a organizzazioni esterne, ma da esse strettamente controllate.
  • un’altra riforma necessaria riguarda l’istituzionalizzazione della figura professionale di manager della terza missione all’interno di università ed enti di ricerca, con percorsi di formazione e di carriera mirati e tarati sulle specifiche esigenze di tale professionalità.

A queste proposte di buon senso, se ne potrebbero aggiungere altre. Si pensi, ad esempio, al ruolo delle ambasciate all’estero, quale tassello fondamentale dei nostri processi di internazionalizzazione sotto diversi punti di vista (ricerca, commercio, industria, ecc.). Molto è stato fatto negli ultimi anni, ma ci sono gli spazi affinché questo percorso possa essere utilmente intensificato, anche grazie alla rete degli addetti scientifici, in quanto potenzialmente foriero di buoni risultati nei processi di trasferimento tecnologico.

Un altro esempio arriva dalla fiscalità. In diversi Stati, ad esempio in Israele, le università ricevono molte donazioni, anche di importo significativo, e questa voce arriva a rappresentare una parte rilevante del loro bilancio. Sebbene ciò sia frutto di una situazione socioculturale pressoché inimitabile, molti studiosi ritengono che in Italia possano essere rafforzati gli incentivi fiscali a favore di donazioni specifiche per la ricerca pubblica. A tal riguardo, sarebbe opportuno agire sulla fiscalità degli investimenti privati e sulle liberalità per la ricerca.

Conclusioni

Per molti anni le questioni relative agli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica hanno avuto poco spazio nel dibattito pubblico. Oggi, al contrario, si assiste ad una inversione di tendenza, a un rilancio della relazione fra ricerca e crescita economica, ricerca e competitività. Ora più che mai abbiamo bisogno di una migliore traduzione dei risultati della ricerca e dell’innovazione nel nostro tessuto economico e sociale. Abbiamo bisogno che l’intero ecosistema della ricerca e dell’innovazione unisca le forze e crei valore. Dalla capacità di azione delle nostre istituzioni dipenderà il successo di rendere la ricerca più accessibile.

Sebbene la ricerca scientifica rappresenti un volano per la crescita e lo sviluppo, è impensabile che il suo sostegno gravi prevalentemente sul bilancio pubblico. Ecco perché è importante un convinto impegno anche da parte dei privati, non solo in termini di investimento. Occorre incentivare l’adozione di modelli integrati di finanziamento, con la nascita di partnership pubblico‐privato, nei quali le risorse pubbliche possano agire da moltiplicatore di quelle private. D’altronde, pur volendo seguire un approccio di “open innovation”, nessuna organizzazione, che sia un’impresa, un’università o un’istituzione pubblica di ricerca, può sostenere l’onere di ingenti finanziamenti o possiede tutte le competenze necessarie per gestire la rapida evoluzione della tecnologia e dei mercati, e può pertanto fare affidamento solo sulle proprie idee.

Ne consegue che il ruolo della ricerca pubblica non può essere limitato alla generazione di nuove idee, ma deve necessariamente espandersi alla gestione delle connessioni con gli altri attori detentori di conoscenze e competenze, aumentando le occasioni di collaborazione e di scambio di conoscenze. Generare un “matching” tra i diversi attori coinvolti nel processo di definizione di una tecnologia, con flussi di conoscenza scambiati in maniera multidirezionale, diventa allora un fattore rilevante per aumentare le probabilità che una determinata tecnologia possa contribuire a generare valore economico e sociale. Anche perché, come raccomandato più volte dal Presidente della Repubblica, ‹‹la ricerca è uno snodo decisivo, un bene comune che sollecita responsabilità comuni››.

Note

  1. I partenariati saranno creati rispetto alle seguenti tematiche: Intelligenza artificiale; Scenari energetici del futuro; Rischi ambientali, naturali e antropici; Scienze e tecnologie quantistiche; Cultura umanistica e patrimonio culturale; Diagnostica e terapie innovative nella medicina di precisione; Cybersecurity; Conseguenze e sfide dell’invecchiamento; Sostenibilità economico-finanziaria dei sistemi e dei territori; Modelli per un’alimentazione sostenibile; Made-in-Italy circolare e sostenibile; Neuroscienze e neurofarmacologia; Malattie infettive emergenti; Telecomunicazioni del futuro.
  2. A tal fine viene stabilito che il ricercatore trasmetta (annualmente o a fine distacco) all’amministrazione di provenienza e all’organismo indipendente di valutazione una relazione sull’attività svolta e i risultati ottenuti.
  3. Cfr. Rapporto Netval (2021), Investire sulla valorizzazione della ricerca per una resilienza generativa (disponibile online sul sito netval.it).
  4. Cfr. G. Conti, A. Piccaluga (2021), “Creare impatto sociale, economico e culturale dalla ricerca pubblica: sembra facile, ma…”, in Rivista Italiana di Public Management Vol. 4, n. 1 del 2021.
  5. Si tratta dell’articolo 65 “Invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca” del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale).

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