la riflessione

Notai e concorrenza, serve un nuovo patto con lo Stato: servizio pubblico chiave per il rilancio

Creare un modello di costo cui i notai devono attenersi, con un orientamento alle spese incorse, è la chiave sia per sbarazzarsi degli interessamenti dell’antitrust sia per riconquistare presso gli utenti dell’era digitale, lo status di mediatori giuridici e sociali imparziali. La strada da intraprendere

Pubblicato il 03 Mag 2021

Stefano Mannoni

giurista, professore di Storia del Diritto Medievale e Moderno e di diritto della comunicazione all'Università degli Studi di Firenze, ex commissario Agcom

notaio digitale

Notai e concorrenza non sono mai andati d’accordo. E a soffiare sul fuoco non è solo l’antitrust bensì anche le altre corporazioni giuridiche che mal tollerano i privilegi di cui godono questi professionisti che sono anche pubblici ufficiali

Di qui una serie di epiteti che sono piovuti sulla testa dei notai nel corso degli anni: “grassatori, monopolisti, avidi, superficiali, inutili intermediari nella società dell’informazione, mangiapane a tradimento”. Ne ho dimenticato qualcuno di appellativo? Di sicuro si.

Perché il notaio, in tempi di grama, ispira alla fantasia del commoner un virtuosismo di vociferante risentimento. Dall’altra parte della barricata, i notai difendono una posizione che proprio il caos del digitale rende più che mai necessaria. Vista dall’esterno, au dessus de la melée, la diatriba non scandalizza affatto. Europa e digitalizzazione avanzano a passo di carica e persino istituzioni millenarie accusano il colpo.

Notai e antitrust

Iniziamo con una buona notizia. È probabile che i notai scivolino in fondo all’agenda dell’antitrust occupata ormai da ben altre battaglie: prima fra tutte quella contro i moloch digitali (Google, Facebook etc.) i quali finora, salvo eccezioni, hanno goduto di una semi-immunità.

La circostanza che la pressione si allenti non giustifica però un abbandono della riflessione sul tema centrale: come rendere compatibile una figura ibrida come quella del notaio con un ordinamento che, complice il vento in poppa di Bruxelles e Lussemburgo, semina cadaveri illustri sul suo percorso.

La strada giusta non è certo quella di ingaggiare la lotta sul terreno scelto dall’avversario. Qualificare di prezzi predatori il comportamento dei notai che, approfittando della libertà della tariffa, praticano il dumping, non è una grandissima trovata. I prezzi predatori esigono che un’impresa per almeno tre quattro anni pratichi prezzi sottocosto per sbaragliare il mercato, espellendone un buon numero di concorrenti, salvo recuperarli alla grande al termine di questa strage. Applicarlo ai notai? Per cortesia.

O forse il notaio è l’aiutante di campo del magistrato nel controllo di legalità? Non si conosce davvero a chi possa essere venuta in mente questa idea balzana. Nel momento in cui la magistratura imbarca acqua da tutte le parti, legare il proprio destino ai Torquemada 2.0 in piena crisi di rispettabilità e credibilità: davvero?

Resta certo la Cina popolare che ha edificato il suo Stato di diritto su 50 milioni di morti. Ecco servito un esempio da sbandierare: se la Cina ci imita, come facciamo a ritrarci proprio noi. L’immaginazione degli accademici è davvero notevole, ma la proposta di fare del notaio italo-cinese il baluardo contro il neoliberalismo le batte tutte. È vero che nemmeno i romani brillavano quanto a rispetto dei diritti fondamentali, ma, seppure faticosamente, qualche progresso l’umanità lo ha compiuto da allora, e non me ne disferei con troppa disinvoltura.

Rilanciare la figura del notaio con la regolazione

Vi sono invece ampi margini per rilanciare la figura del notaio non all’ombra della concorrenza, bensì della regolazione.

Due brillanti esperti della materia, Libertini e Spada, consigliarono anni fa di avvalersi di due concetti chiave della regolazione: il servizio universale e il servizio pubblico.

Il primo con qualche sforzo si può applicare ai notai. Non è vero che i notai devono coprire anche le sedi territoriali non remunerative? Certo, e questo è un indizio forte della presenza di un tema dei costi dell’atto notarile. Il suggerimento di creare un modello di costo cui i notai devono attenersi, con un orientamento verosimile, alle spese incorse, è la chiave per sbarazzarsi degli interessamenti dell’antitrust.

“Quanto me lo fa notaio l’atto?”. E una domanda ricorrente che irrita e deprime al sommo grado i professionisti più consapevoli del loro ruolo. E che siamo dal salumiere?

Ebbene un modello di costo renderebbe superflua questa domanda così come il fastidio per comportamenti filibustieri di certi notai che gli atti li fanno a getto continuo lasciando alle segretarie il grosso dell’incombenza.

Il servizio pubblico assumerebbe allora delle fattezze concrete.

Non solo. È vero come continua a ripeterci la rising star di un talvolta scialbo firmamento notarile, Massimo Palazzo (già noto ai lettori di questa rivista), che la dimensione sapienziale del notaio è un must al quale non si deve rinunciare nel momento in cui la legge non è fatta e applicata, bensì fatta e interpretata.

Sbaglia però il dotto e sofisticato Palazzo a inquadrare questo ruolo in una logica di superamento dello Stato e di rivincita del diritto dal basso.

Attenzione: i notai hanno storicamente segnato un punto quando sono divenuti un amichevole intermediario tra lo Stato, che li rafforza, e gli utenti, che li apprezzano come consulenti indipendenti.

Ecco la definizione che mi sembra più calzante: ossia mediatori giuridici e sociali imparziali.

Tale definizione si attaglia perfettamente all’imprinting storico dei notai.

L’esempio della Francia

Prendiamo la Francia. Perché mai? Perché la Francia è un paese a statualità fortissima che pure alberga nel suo ordinamento da un bel po’ di secoli i notai.

Ebbene cosa scopriamo nella storia di questo timido comprimario di gloriosi eventi? Che una legge del 1803 ha regolato i notai, guarda caso un anno prima della promulgazione del Codice Napoleone. Per rispondere a una rivendicazione di certezza della borghesia proprietaria? Anche, ma non è la ragione principale. La quale si annida invece in un dettaglio che è sfuggito ai più. Affezionati ai modelli, molti definiscono l’Ottocento il secolo dello Stato legale. La legge cala dall’alto e non fa prigionieri. Non esageriamo! Credete davvero che secoli di consuetudini giuridiche e di usi e costumi locali potessero essere cancellati con un colpo di spugna? Ovviamente no. Il Codice Napoleone, come tutte le norme liberiste che spazzavano via le corporazioni e gli usi territoriali, abbisognava di alleati potenti: una, la cassazione, presieduta da giuristi che conoscevano a menadito il diritto dell’antico regime e l’altra i notai!

Ordunque, sono stati loro a fare digerire al paysan norme che stravolgevano il suo tradizionale clocher. E la lotta è stata bella dura: decenni sono occorsi per spiegare al popolo cosa era cambiato. E in prima fila: proprio da parte loro, i notai, i quali già ai tempi di Lugi XIV – grande accentratore – avevano ricevuto una sostanziosa disciplina giuridica.

Conclusioni

E qui ritorno all’appello accorato di Massimo Palazzo: i notai di oggi nel coro dei Maestri Cantori di Norimberga proprio non ce li vedo. Benissimo allora l’inquadramento ermeneutico e la rappresentazione aristocratica del ruolo del notaio. Ma in guardia: all’insegna di un rinnovato patto con lo Stato che mai come oggi ha bisogno di tanto alleato. Chi spiegherà le norme che piovono dall’alto in un contesto di smaterializzazione del documento e di smarrimento dell’amministrazione? Chi tradurrà le chiavi per la comprensione di un diritto senza padre e senza madre (figlio di NN: il WTO, la Commissione, lo Stato, la regione, la comunità montana, il diritto internazionale boh!)? Ed è qui che sapienza si salda con democrazia perché questa funzione di esplicitazione è uno dei tasselli di qualsiasi ordinamento alla Rousseau: il cittadino deve capire quello che decide e le sue conseguenze.

Massimo Palazzo ha quindi ragione. Purché però abbracci anche lui, indossata la coccarda tricolore, la democrazia.

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