La proposta

Una Giustizia “digital by design”: ecco come realizzarla

Una giustizia digital by design non può prescindere dalla Legal Analytics. Un programma in tre azioni simultanee: rendere quanto digitalizzato esplorabile, digitalizzare tutti gli atti del processo, dare una Rule74 per omogeneizzare i dataset

Pubblicato il 21 Giu 2021

Amedeo Santosuosso

IUSS Pavia e Dipartimento giurisprudenza UNIPV

Giulia Pinotti

Assegnista di Ricerca e PhD in Diritto amministrativo e Droit Comparé

processo amministrativo telematico

Digitalizzare è cruciale per lo sviluppo delle nostre società secondo il Next Generation EU ed è diventato familiare come pratica di lavoro, studio, insegnamento a distanza nell’epoca del confinamento e come bisogno di avere strutture adeguate, a partire da connessioni veloci. Anche la giustizia è pervasa da questo spirito, che è anche un bisogno.

Tuttavia, qualche chiarimento è necessario: cosa significa digitalizzare? quale aspetto della giustizia si vuole coinvolgere? È possibile una giustizia, un processo (e un diritto) digital by design?

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Giustizia Digital By Design: a quale giustizia ci riferiamo?

Velocizzare il funzionamento della giustizia garantendo un livello qualitativo adeguato e il rispetto dei diritti dei cittadini è oggi un obiettivo essenziale.

Ma la giustizia è un insieme complesso di istituzioni e attività, tutte collegate e, al tempo stesso, aventi ciascuna funzioni proprie e caratteristiche distinte.

Se, per esempio, ci si riferisce alla giustizia come apparato ministeriale e sue articolazioni periferiche, è chiaro che la digitalizzazione del patrimonio, della gestione del personale e delle attività amministrative, può migliorare il funzionamento del sistema, ma l’effetto sulla riduzione dei tempi e sulla qualità delle decisioni sarà solo indiretto e minimo.

Se, poi, si intende per giustizia l’attività giudiziaria, certo anche qui la digitalizzazione della gestione del personale amministrativo e di cancelleria, nonché dei mezzi tecnici (computer, collegamenti, reti e altro) darà all’attività giudiziaria basi più solide, che le consentiranno di procedere più spedita, ma, ancora una volta, l’impatto di questa, pur utile, digitalizzazione, sarà solo indiretto su tempi e qualità degli atti[1].

La questione prende un aspetto ancora diverso se con giustizia ci si riferisce alle norme che regolano i processi, e quindi alle norme di procedura civile o penale o amministrativa.

In questo campo si possono fare molte cose importanti e la Ministra, Prof.ssa Marta Cartabia, e gli esperti da lei nominati stanno facendo un importante e delicato lavoro.

Qui bisogna intendersi su quale sia il rapporto tra norme di procedura e digitalizzazione, visto che di alcune di queste riforme si parla da molto tempo, da epoca precedente alla già avviata digitalizzazione e prima che il tabù dell’accostamento tra intelligenza artificiale (IA) e diritto fosse infranto dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ) con il suo documento intitolato “European Ethical Charter on the Use of Artificial Intelligence in Judicial Systems and their environment” (3-4 dicembre 2018)[2].

Certo è, però, che parlarne oggi, quando digitale e IA sono diventati approcci necessari potrebbe (e, se possiamo, dovrebbe) essere una connessione assai utile: in altri termini le norme procedurali non andrebbero costruite come se si fosse in epoca predigitale per poi verificarne la compatibilità digitale, ma dovrebbero essere digital by design, cioè concepite sin da subito come immerse nel contesto di un processo digitale[3].

Tuttavia, a ben vedere, tutto ciò lambisce l’attività del giudicare, ne informa il contesto ma non è ancora la digitalizzazione dell’attività del giudicare, che riguarda l’attività dei giudici e degli avvocati, le fonti dalle quali essi attingono le informazioni sui precedenti e le leggi, e con quali mezzi tecnologici, il modo in cui i loro atti sono scritti, come si relazionano gli uni con gli altri, le tecnologie di cui si avvale l’Ufficio del giudice, e si potrebbe continuare.

In realtà è solo a questo livello che il digitale cessa di essere solo contesto tecnologico per le professioni legali, che potrebbero anche pensare di continuare alla vecchia maniera, ma diventa fattore trasformativo del diritto stesso e del modo in cui esso vive nelle relazioni sociali, aprendo a una riflessione giuridica profonda e a un cambiamento culturale che a noi pare già avviato e che, comunque, è non procrastinabile.

È a questo livello che la digitalizzazione si presenta collegata alle applicazioni dell’IA, uno sviluppo scientifico del diritto basato sulla valorizzazione del patrimonio conoscitivo costituito dal corpus della giurisprudenza e della legislazione italiana, europea e internazionale, valorizzazione da realizzarsi attraverso l’uso degli strumenti di Legal Analytics (LA), un ambiente tecnico nel quale confluiscono diverse discipline, come data science, intelligenza artificiale (AI), machine learning (ML), natural language processing (NLP), statistica. LA ha l’obiettivo di estrarre e rappresentare conoscenza giuridica, rinvenire correlazioni implicite, individuare tendenze ed effettuare previsioni relative agli orientamenti giurisprudenziali e/o legislativi.

Dall’invenzione della stampa a caratteri mobili in avanti, lo studio dei testi di dottrina e delle raccolte cartacee di giurisprudenza e le predizioni sono stati fatti usando carta, penna, annotazioni personali, memoria di studio e di esperienze pratiche. Oggi, e nel prossimo futuro, le stesse finalità si raggiungono usando tecniche digitali e di Legal Analytics.

Giustizia digital by design: le esperienze esistenti

In realtà, non mancano interessanti esperienze iniziali di un apporto del digitale e dell’IA all’attività di giudicare.

Tra il dicembre 2015 e il dicembre 2017 la DGSIA, Direzione generale per i servizi informativi e per l’automazione del Ministero della giustizia, ha promosso e finanziato un progetto pilota di collaborazione tra uffici giudiziari milanesi e le Università statali di Milano e di Pavia per la promozione dell’informatizzazione nel processo penale[4].

La centratura era sul processo e sulla funzionalizzazione ad esso di tutti i collegamenti con i diversi uffici, dal Portale notizie di reato fino alle impugnazioni della procura generale. Una linea di ricerca in questo progetto ha approfondito la struttura delle sentenze, sia civili sia penali, giungendo alla conclusione che la struttura logica e giuridica d’entrambe le tipologie fosse essenzialmente la medesima e che questo costituisse una grande possibilità per l’elaborazione di modelli in grado di aprire all’applicazione di tecniche di IA.

Nello stesso arco di tempo, all’interno di una generale sensibilizzazione sulla necessità di rendere più sintetici gli atti degli avvocati e dei giudici, e al fine di rendere le decisioni più omogenee e chiare, il CSM – Consiglio Superiore della Magistratura e il CNF – Consiglio Nazionale Forense dopo un lungo lavoro comune hanno firmato nel 2018 un Protocollo d’intesa sull’esame preliminare dei ricorsi, l’organizzazione del lavoro, la chiarezza e la concisione nella redazione di memorie e decisioni in appello.

CSM e CNF hanno condiviso l’idea che la redazione di atti processuali di parte e decisioni debba ispirarsi ai principi di concisione e chiarezza, con l’obiettivo di renderli più funzionali a processi più efficienti e, allo stesso tempo, rispettosi del principio del contraddittorio e dell’obbligo dei giudici di emettere provvedimenti chiari ed esaustivi. A tal fine sono stati elaborati e proposti a giudici e avvocati schemi di redazione delle decisioni e criteri per la redazione delle memorie. Il passo successivo, trasformare quelle bozze in modelli inseriti di default nella Consolle del Processo civile telematico, non è mai avvenuto[5].

Infine, la Commissione persona, famiglia e minori dell’Ordine degli avvocati di Milano, in collaborazione con la Sezione IX del Tribunale civile Milano, ha elaborato “modelli per i verbali e le sentenze che dovranno essere predisposti a cura degli avvocati ed essere depositati nel fascicolo telematico”[6].

Questi elementi, pochi ma significativi, ci dicono come ormai i tempi siano maturi per un deciso superamento dei modelli del passato e per uno sviluppo di un processo digital by design, antesignano di un diritto digital by design. Qui di seguito indichiamo le tappe fondamentali.

Giustizia Digital by Design: i tre percorsi da compiere

Tre percorsi, da seguire in parallelo, sono oggi a portata di mano: a) valorizzare l’esistente digitale, b) costruire il (nativo) digitale futuro e c) dare a giudici e avvocati italiani una “Rule 74” che solleciti e accompagni un grande cambiamento culturale e di abito mentale (mindset).

Primo: valorizzare l’esistente digitale

Negli ultimi anni il sistema giudiziario italiano ha sperimentato una crescente digitalizzazione dei processi civili e amministrativi, e, meno, di quelli penali, dove le stesse attività, prima cartacee, vengono ormai largamente svolte in formato digitale.

Gli effetti di tale spostamento digitale sono stati duplici: in primo luogo è iniziata una riorganizzazione delle attività sia di back office sia di front office; e in secondo luogo, si è verificato un impressionante accumulo di materiale giuridico (prodotto da giudici e avvocati) in formato digitale[7].

La questione in primo piano oggi è come rendere questa grande quantità di documenti come dati efficacemente esplorabili con tecniche di Intelligenza Artificiale.

Sono svariati i problemi tecnici da affrontare, come, per esempio, l’anonimizzazione o la pseudonimizzazione in conformità alle regole per la protezione dei dati personali, o l’aumento di qualità dei file prodotti con i processi telematici tale da poter essere annotati e da poter andare a costituire un dataset adeguato per le operazioni di Legal Analytics con lo standard tecnologico più adeguato. Senza contare che, a seconda del formato e della tipologia del file, saranno necessari luoghi di raccolta di tipo diverso (data warehouse o data lake).

In sintesi, il fatto che attualmente vi siano milioni di file sparsi in diverse sedi non significa automaticamente che essi siano pronti per la lavorazione con tecniche di intelligenza artificiale. Sono troppo importanti per non essere valorizzati, ma richiedono un notevole lavoro per renderli di qualità adeguata.

Secondo: costruire il nativo digitale futuro

Mentre si valorizza il patrimonio di dati del passato, è necessario che in contemporanea si compiano scelte adeguate sul modo di raccogliere e organizzare il materiale futuro sempre nell’ottica di renderlo facilmente esplorabile con le tecniche di LA.

È necessario riprogrammare l’intero Processo Civile Telematico (nonché penale e amministrativo) su basi tecniche nuove. Le novità tecnologiche intervenute negli ultimi anni vorrebbero che, fatto tesoro dell’esperienza fin qui fatta con il processo civile telematico e, sia pure parzialmente, con quello penale (PPT), si riconcepisse radicalmente tutto il sistema[8].

Va attuata una compiuta, ordinata, moderna digitalizzazione di tutti gli atti del processo. La digitalizzazione delle attività giudiziarie è la base per ogni ulteriore applicazione tecnologica.

Ma essa deve essere compiuta, in quanto deve riguardare tutte le attività processuali e tutte le parti del processo (quindi anche gli avvocati, oltre gli ausiliari tecnici) nonché i dati di cancelleria; ordinata, in quanto deve coniugare il carattere di facile accessibilità per i giudici e gli utenti con l’attitudine tecnica dei prodotti dell’attività di andare a popolare raccolte di dati accuratamente organizzate (data lake e data warehouse) per gli utilizzi avanzati di IA; moderna, in quanto deve riguardare tutti i dati e le informazioni, quale che sia la loro natura.

Sarà quindi necessario proseguire su due binari paralleli, quello della valorizzazione dei dati esistenti senza perdere di vista l’obiettivo principale: creare un’infrastruttura che consenta di utilizzare al meglio le tecniche di Legal Analytics sui materiali giudiziari, e che consenta quindi di svolgere moderne attività di ricerca giuridica, di sviluppare tecniche automatiche di summarisation delle decisioni e attività di predizione e argument mining.

Vi è di più: un processo digital by design richiede un necessario ripensamento del rapporto con le infrastrutture necessarie a realizzarlo.

Si tratta di porre le fondamenta per un apparato tecnico duraturo e immaginato ad hoc per l’amministrazione della giustizia. È necessario andare nella direzione dell’utilizzo di un codice – se non direttamente delle amministrazioni – quanto meno libero.

Questo per due ragioni: in primo luogo perché consente (coerentemente con quanto previsto anche all’art. 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale)[9] una qualità e un controllo maggiore sul lungo periodo, data la facilità con la quale è possibile contribuire al miglioramento del software; il secondo è un motivo di principio: se l’infrastruttura tecnologica diventa parte del processo stesso, questa deve essere improntata agli stessi principi che governano e sono il fine dell’attività giudiziaria, fra cui vi sono anche pubblicità, trasparenza e tutela dei diritti.

Cosa è la Rule 74 e a cosa serve

Il terzo e ultimo percorso è più giuridico che tecnico, o, meglio, è giuridico in un modo che apre allo sviluppo tecnico.

La Regola 74 del Regolamento della Corte Edu indica, analogamente a quanto previsto per i ricorsi[10], quale deve essere il contenuto della sentenza, e dispone che: “1. La sentenza […] contiene: a) i nomi del presidente e degli altri giudici che compongono la camera o il comitato interessato, nonché il nome del cancelliere o del cancelliere aggiunto; b) le date in cui è stata adottata e pronunciata; c) l’indicazione delle parti; d) i nomi degli agenti, avvocati o consulenti delle parti (e) l’esposizione della procedura seguita; (f) i fatti della causa; (g) una sintesi delle conclusioni delle parti; (h) le motivazioni di diritto; (i) il dispositivo; (j) l’eventuale decisione sulle spese; (k) il numero dei giudici che costituiscono la maggioranza; (l) se del caso, un’indicazione del testo che fa fede. 2. Ogni giudice che ha partecipato all’esame della causa da parte di una sezione o della grande sezione ha il diritto di allegare alla sentenza o un’opinione separata, che concorre o dissente dalla sentenza, o una semplice dichiarazione di dissenso”.

La norma ha la funzione di dare una struttura rigida e predeterminata agli atti introduttivi delle parti e alla decisione della Corte, non solo con riferimento agli elementi prettamente formali, ancorché necessari (come le lettere a., b., e c.), ma anche con riferimento agli elementi essenziali della sentenza in senso sostanziale: sono previsti infatti una sintetica conclusione delle parti, e le motivazioni di diritto. L’art. 47, su citato, fa anche riferimento al fatto che il ricorso deve essere presentano utilizzando un apposito formulario, in modo da imporre una struttura predeterminata già al momento della presentazione dell’atto da parte del ricorrente.

Questa rigidità e predeterminazione degli elementi si rivela un aspetto essenziale quando si tratta di condurre un’analisi quantitativa con tecniche di NLP su un ingente quantità di dati. Più semplicemente, la disponibilità di un dataset composto da decisioni aventi strutture molto omogenee favorisce un approccio basato sul testo, che può avere varie finalità: di predizione o, più semplicemente, di summarisation automatica.

Non a caso, uno dei più significativi studi in materia di predizione dell’esito di decisioni giudiziarie è stato condotto proprio sulle sentenze della Corte Edu. Gli autori, commentando la scelta del dataset su cui condurre l’esperimento, osservano proprio che: “Le sentenze della Corte hanno una struttura particolare, che le rende particolarmente adatte a un’analisi testuale. Secondo l’articolo 74 del Regolamento della Corte, una sentenza contiene (tra le altre cose) un resoconto della procedura seguita a livello nazionale, i fatti del caso, una sintesi delle osservazioni delle parti, che comprendono i loro principali argomenti giuridici, le ragioni di diritto articolate dalla Corte e le disposizioni operative. Le sentenze sono chiaramente divise in diverse sezioni che coprono questi contenuti, il che permette una semplice standardizzazione del testo e di conseguenza rende possibile un’analisi basata sul testo”[11].

Giustizia digital by design: un avanzamento a portata di mano

La strada descritta, a tre corsie parallele, è un percorso a portata di mano, per il quale esistono oggi le risorse culturali, tecniche ed economiche, e per il quale è solo necessaria una volontà di realizzarlo, con una collaborazione su basi nuove tra mondo della giustizia e accademia, nelle sue espressioni giuridiche, linguistiche e di intelligenza artificiale. Sono tutte risorse esistenti e disponibili nel panorama italiano (in ovvia collaborazione con quanto è in corso a livello internazionale).

Gli ingredienti possono essere combinati al meglio solo assumendo un abito mentale adeguato.

Senza una nuova educazione digitale dei giudici e degli avvocati, partendo forse dai più giovani, il cambiamento è difficile. In quest’ottica una Rule 74 per i professionisti italiani può costituire un “trait d’union” fra l’universo giuridico e quello più propriamente tecnico.

Se il processo, e il diritto, devono arrivare a essere digital by design, allora anche l’abito mentale del giurista è destinato a cambiare: la Rule 74 è il perfetto esempio di come una regola strettamente giuridica (il contenuto minimo e la struttura definita di una sentenza) possa avere come effetto il rendere più efficiente l’analisi quantitativa, e consentire quindi un più proficuo utilizzo delle tecniche di AI, con un ritorno giuridico assai importante.

Siamo ben consapevoli che senza una sensibilità civile ispirata ai diritti fondamentali non vi sia innovazione tecnologica che sia un reale progresso: “Il lavoro da fare è tanto e riguarda non solo la dimensione giuridica, ma anche quella civile, senza la quale non vi è tecnicismo che valga. Perché l’obiettivo è che il diritto sia per tutti: the law is for everyone, citando in modo infedele il fondatore di Internet”[12].

Note

  1. Non va poi dimenticato che il PNRR prevede (si veda anche Giovanni Negri, “La gestione telematica guida il rinnovo della giustizia”, il Sole 24Ore, 8.6.2021) circa 22 mila assunzioni per l’ufficio del processo. Se venissero valorizzate le conoscenze tecniche, vi sarebbe sicuramente un vantaggio in termini di efficienza della digitalizzazione, ma anche in questo caso si tratta a nostro avviso di un profilo prevalentemente organizzativo.
  2. Sul punto si veda A. Santosuosso, “Intelligenza artificiale e diritto”, Mondadori Università, 2020, p. 80 e passim.
  3. Le proposte formulate dalla Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi (24 maggio 2021), presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso, non paiono andare in questa direzione, fatta eccezione per alcuni riferimenti alla struttura e al contenuto minimo degli atti di parte (con riferimento al ricorso per cassazione).
  4. Gli autori di questo articolo hanno partecipato a tale progetto, il primo, quale coordinatore e la seconda come ricercatrice esterna e studentessa di dottorato (tema di ricerca: Digitalizzazione e pubblica amministrazione).
  5. Un assai embrionale tentativo di provvedimenti di rinvio di udienze causa Covid19 è stato realizzato da una commissione mista CSM-Ministero nel 2020.
  6. Maggiori informazioni e i testi dei modelli sono disponibili presso https://www.ordineavvocatimilano.it/it/commissione-persona-famiglia-e-minori/p14
  7. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza (si veda ancora Giovanni Negri, op. cit.) si tratta di circa 34 milioni di provvedimenti cosiddetti nativi digitali e 56 milioni di atti telematici depositati da avvocati e altri professionisti nel solo processo civile telematico dal luglio 2014 al dicembre 2020.
  8. Solo pochi esempi: a) dovrebbe essere risolto con modalità appropriata il problema degli allegati voluminosi ai fascicoli; b) va previsto un sistema di archiviazione dei materiali che includa non solo file di scrittura, ma anche immagini e audio; c) va definitivamente superato il sistema della PEC.
  9. Art. 68 Codice dell’Amministrazione Digitale: “1. Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato: a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione; b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione; c) software libero o a codice sorgente aperto; d) software fruibile in modalità cloud computing; e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso; f) software combinazione delle precedenti soluzioni.1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall’AgID”.
  10. Una regola speculare è prevista per gli avvocati all’Articolo 47: https://www.echr.coe.int/Documents/Rule_47_ITA.pdf
  11. Aletras, N.; Tsarapatsanis, D.; Preo ̧tiuc-Pietro, D.; Lampos, V, “Predicting judicial decisions of the European Court of Human Rights: A Natural Language Processing perspective”. PeerJ Comput. Sci. 2016, 2 (il testo citato si trova alla pagina 7). Per i diversi approcci alla predizione quantitativa si veda A. Santosuosso, G. Pinotti, “Bottleneck or Crossroad? Problems of Legal Sources Annotation and Some Theoretical Thoughts”, Stats 2020, 3(3), 376-395; https://doi.org/10.3390/stats3030024 – 09 Sep 2020
  12. Questo è il passo finale di A. Santosuosso, “Intelligenza artificiale e diritto”, Mondadori Università, 2020, p. 293, con riferimento a Tim Berners-Lee, che invece si riferiva a Internet.

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